DonDraper’s review published on Letterboxd:
La mia recensione: www.ondacinema.it/film/recensione/the-fabelmans.html
"The Fabelmans" può idealmente essere considerato un "double bill" insieme a "West Side Story". Per quanto apparentemente distanti, sono ambedue progetti personali a lungo desiderati e dedicati ai genitori: il primo rifà un amatissimo classico del musical, quest'ultimo è il più volte annunciato e finora mai realizzato racconto dell'infanzia e della famiglia di Steven Spielberg e che, nell'idea originale, avrebbe dovuto avere tra i protagonisti Richard Dreyfuss, il suo primo feticcio attoriale. Entrambi i film per ambizione e altezze raggiunte dalla poetica spielberghiana si stagliano quali monumenti della sua terza età (così come "Lo squalo" e "Incontri ravvicinati del terzo tipo" lo erano stati della sua prima decade produttiva) e anche tra i suoi più incredibili tonfi al botteghino.
Il titolo, "The Fabelmans", tematizza la saga familiare ed è al contempo un chiaro rimando alla funzione cucita addosso a Spielberg come uomo delle fiabe, sommo sacerdote della magia dello storytellingcinematografico. Questo benché Spielberg abbia sempre operato su molteplici livelli, celando uno sguardo disincantato sotto le spoglie dell'illusione cinematografica e dell'ingenuità infantile. Ed è dunque attraverso la rievocazione della sua infanzia e della sua giovinezza, in un coming of age dall'andamento classico ed ellittico, che Spielberg si mette a nudo, in anni in cui diversi registi di mezza età hanno esplorato snodi esistenziali e traumi della propria vita, scaturigine di dolori e ispirazione: Cuarón in "Roma", Sorrentino in "È stata la mano di Dio", Branagh in "Belfast", Gray in "Armageddon Time", anche se il film che gli somiglia per ritmo e potenza di flusso è "Licorice Pizza" di Anderson. Adesso, a 76 anni, Steven Spielberg ha ormai compiuto il proprio destino di erede della classicità hollywoodiana e questa storia, la sua, è abbastanza lontana nel tempo per plasmare la mitologia privata in mito cinematografico. E questo mito ha a che fare tanto con il grande schermo e la celluloide, quanto con la famiglia e gli spazi domestici. È un apprendistato dello sguardo da cui possiamo trarre alcune lezioni.
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